Benigno Zaccagnini nel futuro della Politica

Intervento di Romano Prodi al Convegno su Benigno Zaccagnini a 21 anni dalla sua scomparsa – Ravenna, 8 novembre 2010

Benigno Zaccagnini muore proprio alla vigilia della caduta del Muro di Berlino. Nel momento stesso nel quale si sta compiendo e chiudendo una lunga fase della nostra storia, a livello internazionale e nazionale: quella del secondo dopoguerra. Nel momento nel quale se ne apre una nuova. Del tutto incerta. A livello nazionale come a livello internazionale.

Per l’Italia si chiude una lunga fase, iniziata con la Resistenza e la lotta di liberazione, con l’antifascismo e la costruzione della nostra Repubblica, che ha visto il partito cattolico, la DC, protagonista del governo del paese e che è giunta oramai ad esaurimento.

Per il mondo si tratta dell’avvio di un profondo ripensamento che veda la creazione di un ordine nuovo, politico, ed economico. Oggi, oltre vent’anni dopo, devo dire che molte ombre si affiancano a qualche luce.
Riflettendo sull’Italia è doveroso riconoscere che il nostro paese non è stato in grado di rinnovare le proprie istituzioni e di dare alla nostra democrazia una forma nuova che fosse competitiva e governante. Abbiamo agganciato l’Euro. Questo è quello che di meglio rimane. Ma il nostro processo di transizione interno è finito in un pantano, mentre la crisi ha messo in evidenza la fragilità del nostro sistema economico così come l’allargarsi della forbice tra ricchi e poveri e la drammatica caduta delle aspettative della nuova generazione. E’ cambiata totalmente la prospettiva con cui noi guardiamo al futuro perché è la prima volta nella storia del dopoguerra in cui noi pensiamo che la futura generazione abbia condizioni di vita peggiori di quella precedente. E di questo vanno chieste ragioni a tutti noi, non solo al centro-destra e ai suoi protagonisti, ma anche al centro-sinistra.

Sul piano internazionale le sfide non sono minori. Alla caduta del muro è seguito un decennio in cui si pensava solo all’avvento del secolo americano, ad un lungo periodo in cui il mondo era controllato da una unica grande potenza. Una profezia immediatamente smentita dai conflitti irakeno e afgano, dall’ascesa dell’Asia, dal crescente deficit del bilancio americano e da una crisi economica che ha sconvolto i rapporti di forza nel mondo.

Benigno Zaccagnini era arrivato alla politica negli anni drammatici della Resistenza e nella politica c’è rimasto per responsabilità, per compiere un dovere. Ha detto di sé: «Vengo dalla Resistenza, sento ancora oggi l’orgoglio di avere partecipato attivamente a quella straordinaria ed esaltante stagione della nostra storia, e mi onoro di avere combattuto il fascismo. Vengo dalla Costituente, ed ancora ripenso con nostalgia e con emozione al clima politico ed umano di quei tempi, quando su tutto prevaleva con grande, libero confronto di opinioni, e le idealità della DC riuscirono a compenetrare così profondamente la nostra carta costituzionale».
Ha detto di lui il cardinale Achille Silvestrini: «Forte e solitario nella fede religiosa come il cipresso dritto e libero; ardente dal desiderio di deporre un seme cristiano, un seme purissimo di giustizia vera e di amore nel cuore di ogni tormento della sua gente». «Né per vendetta, né per calcolo, né per odio, ma solo per giustizia e per amore»: con questo spirito ha vissuto i lunghi anni del servizio politico, sempre accompagnato dalla stima e dall’affetto dei suoi elettori e dei suoi colleghi di vita politica. Le parole di Zaccagnini sulla Resistenza e le parole di Silvestrini su Zaccagnini ci spiegano in modo semplice e diretto perché Benigno è stato da tutti rispettato. Egli ha sempre avuto come primario nella sua vita l’obiettivo di unire e non di dividere!.

Soprattutto nei difficili anni ’70, ha assunto responsabilità pubbliche pesanti, potremmo dire suo malgrado, ascoltando l’appello morale di amici autorevoli (Moro fra tutti), in passaggi drammatici della vita della DC e della stessa vita democratica. Lo ha fatto per rispondere alla sua coscienza libera e fedele. E con questo ha impersonificato per tutti noi il concetto di cristiano adulto. Un cristiano sostenuto dalla fede religiosa e dalla passione per gli uomini. Nessuna ambizione, nessun calcolo personale, nessun opportunismo, nessuna vanità. Svolse una lunga e intensa attività politica ma non fu mai un professionista della politica.

Molti tra i suoi amici e lui stesso hanno ricordato più volte che era arrivato all’impegno pubblico da quello religioso. E l’ispirazione cristiana è stata la costante e la motivazione di fondo della sua vita pubblica. Anzi essa ne è uscita rafforzata dalle prove storiche e personali, anche quelle più dure, come nei giorni pieni di angoscia del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro. Questa stessa ispirazione cristiana lo ha sostenuto nell’argomentare il tentativo (l’ultimo grande tentativo) di rinnovamento della DC, quando dapprima fu nominato e poi eletto segretario del partito dopo la grave sconfitta al referendum sul divorzio nel 1974. Riportò i giovani alla DC, fu per una nuova generazione democristiana (l’ultima) l’immagine viva del possibile rinnovamento del partito ed evitò il sorpasso comunista nel 1976. Non è facile, per chi lo ha vissuto, dimenticare l’entusiasmo che ha accompagnato tra i giovani l’avvento della segreteria Zaccagnini. E quello che colpiva i giovani era la visibile coerenza fra il suo comportamento morale e le sue decisioni politiche. Era davvero trasparente e sincero. Zaccagnini è stato un anticomunista democratico (per usare la categoria che Scoppola ha adoperato per De Gasperi), un anticomunista democratico che ha saputo declinare la categoria del confronto politico secondo lo stile del dialogo e della comprensione delle verità altrui. Soprattutto quando si trattava di un confronto che riguardava le masse popolari, in uno schema di democrazia bloccata. Di qui anche la qualità autenticamente liberante e sociale del suo riformismo. Non ha fatto sconti al PCI, non ha indietreggiato rispetto al portato della cultura cattolica. Ha tuttavia sempre cercato i punti di evoluzione, di cambiamento, di dialogo ed è sempre stato attento nel comprendere le ragioni del comportamento degli altri.

Ma ci sono altri tre aspetti che qui mi preme ricordare.

1) In primo luogo il suo profondo rispetto, anzi il suo amore per la società civile.

2) In secondo luogo una concezione quasi sacrale della libertà di coscienza.

3) Infine il suo «umanesimo planetario».

La società civile anzitutto: «Se siamo dentro la società e siamo capaci di rinnovarci _ egli scrive – allora sì, possiamo influire sul comportamento della gente. Incontrare la società significava per lui e significa, oggi, non guardare solo alla sussidiarietà verticale, quella che corre tra le istituzioni, tra lo stato e gli enti locali. Da questo punto di vista non ci basta un po’ più di federalismo o di autonomia per le regioni e i comuni per riportare lo stato e le istituzioni al centro della società. Incontrare la società significa anche valorizzare la sussidiarietà orizzontale, cioè la necessità di valorizzare i corpi intermedi della società, le sue espressioni vive, autonome, dalla famiglia alle organizzazioni sociali. Questa sussidiarietà orizzontale ci riporta direttamente alla categoria del pluralismo che egli pone alla radice del suo concetto di stato.
Con Moro, Zaccagnini condivide che lo stato stesso sia «una realtà dinamica, creatrice, realizzatrice, nella sua essenza, una società che si svolge nella storia, attuando il suo ideale di giustizia». Cioè non un’organizzazione burocratica ma un corpo vivo che comprende ed interpreta le diverse espressioni della società.

Qui Zaccagnini, e noi con lui, ritroviamo le nostre radici popolari e cristiane assieme. Senza la sussidiarietà orizzontale, la sola sussidiarietà verticale ci conduce forse a una migliore razionalizzazione della società, ma ci priva della forza della solidarietà. E, passo per passo, ci porta verso una società sempre più ingiusta e frammentata. Vi è inoltre la libertà di coscienza, che è il vincolo della laicità.
Troviamo in Zaccagnini un senso sofferto, ma positivo del limite, della storicità delle cose, della condizione umana, persino della contraddittorietà che aggiunge profondità alla coscienza Quel senso del limite che, durante la sua lunga attività politica, lo ha aiutato a comprendere le ragioni degli avversari e degli amici.
Su queste basi si fonda l’autonomia della politica. Su queste basi si fonda il principio cristiano di laicità. E quindi l’autonomia del cristiano in politica, chiamato a vivere il libero confronto della vita democratica. Qui vorrei citare Moro: «L’autonomia è la nostra assunzione di responsabilità, è il nostro correre da soli il nostro rischio, è il nostro modo personale di rendere un servizio e di dare, se è possibile, una testimonianza ai valori cristiani nella vita sociale».

Quando Zaccagnini rilegge don Mazzolari che controbatte ai fascisti: «Non ho padroni all’infuori di Dio», egli riscopre la vera radice della laicità e della libertà del cristiano. «Ho promesso un giorno obbedienza al mio vescovo e solo lui può darmi dei comandi _ e poi aggiunge _ mai però un comando che mi avvilisca davanti alla mia coscienza e al mio popolo».

C’è oggi bisogno di richiami forti, per un nuovo impegno, per rinnovate fedeltà alla nostra ispirazione cristiana, per nuove responsabilità storiche. Magari per sperimentare nuovamente la contraddizione tra il nostro essere testimoni e il nostro essere responsabili. C’è bisogno di un richiamo (un richiamo che non sempre arriva da chi lo dovrebbe inviare), di una nuova attenzione sul piano dei valori, sul piano della coerenza personale. Da ultimo il suo crescente richiamo alle vicende internazionali, a quell’umanesimo planetario che egli mutua da Paolo VI e che altro non è che l’urgenza di sperimentare le vie della pace e della giustizia.

Un umanesimo planetario che oggi è assai lontano da essere raggiunto non solo per la persistenza di aperti conflitti in diverse parti del mondo ma anche per la permanenza di intollerabili differenze nelle condizioni di vita fra diversi paesi e all’interno di uno stesso paese. Un umanesimo planetario che viene contraddetto dalla fragilità delle strutture politiche soprannazionali e dalla mancanza di efficaci strumenti di cooperazione.
Mi avvio a concludere. Appare persino troppo facile dire che oggi, in questi giorni, in questa nostra Italia, nella crisi culturale, morale e politica che l’attraversa e quasi la devasta, che queste figure ci mancano. Sotto molti aspetti tutto questo è vero perché non è facile intravedere nel mondo di oggi figure come quelle di Benigno Zaccagnini, nella sua fedeltà ai propri valori e nella sua coerente testimonianza di vita.
Tuttavia è nostro compito cogliere il loro insegnamento, proporlo come esempio alle nuove generazioni in modo da preparare l’ambiente intellettuale e morale per cui questi valori possono ancora essere messi in atto nei comportamenti personali e nella vita politica.

Costruire una buona società è ancora possibile, risvegliare la dignità in questo nostro paese è ancora possibile, riportare l’Italia di fronte alle sue responsabilità morali e politiche è ancora possibile.
Ce lo dice la testimonianza di Benigno Zaccagnini.